martedì 24 febbraio 2009

Ho voluto farmi del male. Mi sono auto-inflitto una pena d'altri tempi, pur sapendo a cosa andavo incontro. Ho visto la terza serata di Sanremo. Per intero, dall'inizio alla fine. Agghiacciante, disgustoso, reiterante, politicamente scorretto, vergognoso, sono aggettivi che non riescono a rendere l'idea reale dello spettacolo a cui ho assistito. L'aggettivo adatto non esiste, bisognerebbe inventarlo. Le tante sentenze acclamate a priori, quali: «Sarà il festival dei giovani» o «Una ventata di novità, per il futuro della musica italiana», sono risultate, all'atto pratico, totalmente inesistenti. Ma iniziamo dalle canzoni. Dalla 'ventata di novità' portata dai giovani. Ogni nuova proposta si presenta accompagnata dal proprio mentore, ben preservato nella naftalina: Simona Molinari con Ornella Vanoni; Filippo Perbellini con Cocciante; Malika con Gino Paoli solo per citarne alcuni. Ogni canzone sembra scritta nello stile e nelle corde del mentore. Come si fa a parlare di novità. L'unica novità è stata portata dal personaggio 'manga' che è Arisa. Una canzone semplice e diretta, cantata, come recita il titolo, con grandissima sincerità. Senza movimenti inconsulti delle braccia (vedi Malika), senza ammiccamenti e faccette alla x factor (vedi quasi tutti), senza 'look sosia' (vedi Perbellini-Cocciante) e nonostante Lelio Luttazzi. Vittoria meritata (per una volta). Ma veniamo ora alla direzione. Tra una canzone e l'altra passano una quindicina di minuti: cinque tra presentazione e canzone, dieci di scenette patetiche. Una su tutte: il bacio tra Bonolis e quella vittima sacrificale di Laurenti, sfociato in una pantomima gay di cattivo gusto. Dopo che la sera prima, il buon presentatore aveva lasciato che il presidente dell'arcigay esternasse, a ragione, tutto il suo disappunto verso la canzone di Povia. Alla faccia del politicamente corretto. Ma il picco massimo di vergogna e disgusto si raggiunge quando 'bimbumbam' intervista Kevin Spacey. E. dopo una serie di inutili domande 'kiss ass', pensa bene di cantargli 'Imagine' di John Lennon. Nelle tre ore che sembra durare la raccapricciante esecuzione, l'espressione impassibile di mister Spacey è degna dei due Oscar vinti. Tanti ne ha dovuti vincere per affrontare questa prova. Alla fine, è la motivazione della performance a lasciare a bocca aperta. Voleva essere un regalo per un profondo ammiratore di Lennon quale è mister Spacey. A saperlo prima, sarebbe bastato non cantasse. Per di più Lennon non si sarebbe rigirato nella tomba come una trottola; io e tutta l'Italia pensante non ci saremmo vergognati di essere italiani. Un commento di un mio caro amico mi trova pienamente in sintonia:«Bonolis rappresenta tutto quello che odio di più in questo paese». Mentre, oserei aggiungere, il festival rappresenta l'Italia e chi la comanda. In finale nella categoria 'artisti' (perchè gli altri che sono?) sono arrivati: vaticano, camorra e massoneria. Indovinate un po' chi ha vinto...

Nessun commento: