martedì 12 maggio 2015

Quaranta minuti

Qualche giorno fa, dopo quasi cinque mesi passati a letto, mi hanno fatto sedere sulla carrozzina per quaranta minuti. Quanto durano quaranta minuti? Quante cose si possono fare in quaranta minuti?
Si può avere la pressione bassa e perdere il primo quarto d'ora a cercare di non svenire. Si può ascoltare il rumore del proprio sangue che scorre nelle orecchie, e sembra un rubinetto dell'acqua lasciato aperto. Si può cadere all'indietro e sbattere violentemente la nuca contro il muro, perché la tua sedia a rotelle ha l'assetto di quando pesavi dieci chili di più. Che tra dolore, contraccolpo al collo e panico generale (non il mio), ti fa perdere un altro quarto d'ora. Si può scendere al piano terra dell'ospedale, uscire fuori nel cortile e per cinque minuti sentire il calore rassicurante del sole: lasciarsi accarezzare dai suoi raggi, respirare ossigeno, cambiare prospettiva e sentirsi ancora vivi. Si può comprendere con lucidità, forse per l'estrema fatica fisica che si prova a stare seduti, la gravità di quello che è successo in questi mesi. Si può ripensare al grande affetto ricevuto. Un affetto mai scontato, senza il quale non sarei riuscito a superare la tempesta che mi ha investito. E si può sperare di lasciare il prima possibile l'ospedale, e magari ritrovare un pezzo di quell'affetto.

venerdì 1 maggio 2015

Gli antidolorifici su di me non funzionano.
Ieri, subito dopo pranzo, due chirurghi sono entrati nella mia stanza. Li aspettavo da qualche giorno. Per un attimo sono tornato indietro nel tempo: sembravano i due medici che nella clinica di Zurigo, tanti anni fa, erano venuti per togliermi l'halo dalla testa. Al contrario di quei due, che mi avevano trattato con una certa violenza, questi hanno un atteggiamento amichevole. Va detto che già ci conosciamo: uno mi ha operato più di una volta negli anni; l'altro, non più di un mese fa, mi ha fatto una broncoscopia. Mi spiegano perché sono qui (anche se già lo so): devono farmi una "toletta chirurgica" alla tracheotomia (tracheo per gli amici), che significa cruentare i bordi del buchino che è rimasto da quando mi hanno tolto la cannula, grattandoli con un apposito strumento. Un tentativo, in teoria, per far cicatrizzare il piccolo foro senza bisogno di operare. In pratica mi operano.
Mi fanno un'anestesia locale, il dolore senza sarebbe insopportabile, e iniziano a lavorare sul mio povero collo. L'anestesia funziona, ma sento tirare, grattare, tagliuzzare. Rumori secchi e acuti, come se la mia pelle fosse fatta di pietra. Mentre continuano, di tanto in tanto, mi chiedono come va, se provo dolore (se così fosse, se ne accorgerebbero dalle mie urla, senza bisogno di chiedere). Alla fine la presunta grattatina è diventata una piccola operazione con tanto di punti di sutura. Sento che stringono e l'aria, a poco a poco, smette di fuoriuscire. Mi salutano con l'augurio che il tentativo funzioni.
L'effetto dell'anestetico, lentamente, svanisce. Ora il collo fa male. Ho provato a chiedere della morfina, così per un minimo di svago, ma non credo che la otterrò. Sarebbe l'ideale, anche per spegnere il cervello - almeno per un po'.
La cosa bella, però, è che finalmente riconosco il suono della mia voce, è di nuovo lei.
Piano piano, tutto torna a posto.

venerdì 20 febbraio 2015

Bollettino ospedaliero #1

Credo sia venuto il momento di raccontarvi quello che mi è successo: ho avuto un'ischemia del colon, anche detta infarto del colon, di conseguenza mi è stata asportata tutta questa parte di intestino. Per la terza volta nella mia vita ho rischiato di morire, ma la pelle dura e la voglia di vivere anche questa volta hanno prevalso. Dopo aver passato 50 giorni all'ospedale San Camillo, dove sono stati bravissimi a curare gli aspetti più gravi della situazione, sono stato trasferito in un ospedale specializzato nel trattamento dei mielolesi. Purtroppo, come spesso succede quando si passano molti giorni in un ospedale dove non sono abituati a trattare con persone disabili, mi sono riempito il corpo di piaghe da decubito. E questo allungherà un po' i tempi della mia degenza.
In generale, da qualche giorno ho ricominciato a mangiare regolarmente e mi sento meglio. Sono circondato da infermieri e dottori che conosco da tempo, mi sento al sicuro. Per tutti quelli che mi inviano messaggi in privato o mi scrivono sulla bacheca di Facebook, faccio ancora molta fatica a scrivere e quindi non vi offendete se non vi rispondo.
Cercherò di tenervi aggiornati con ulteriori bollettini.
A presto

giovedì 6 novembre 2014

Per chi avesse voglia di vederla, ecco parte della presentazione di Milano.

http://www.lostivalepensante.it/2014/11/06/milano-lorenzo-amurri-presenta-perche-non-portate-lourdes/

martedì 4 novembre 2014

Presentazione a Roma. Non mancate!

mercoledì 29 ottobre 2014

«È questo il punto, padre: la fede. Lei non è un tifoso, mentre io tifo Roma da sempre. La mia fede nei colori della mia squadra è completa come la sua nella Madonna».
‪#‎PerchéNonLoPortateALourdes‬

sabato 25 ottobre 2014

Sono sospeso nel nulla, sono l’ultimo uomo sulla terra, sono a Lourdes. E sono io a cercare un miracolo, il segno tangibile che ci sia qualcuno a vegliare sulla mia esistenza, che scacci via per sempre questa solitudine interiore, mia unica e vera compagna di vita.
Da "Perché non lo portate a Lourdes?".