lunedì 4 ottobre 2010

Delirio lucido

Sono stanco.
Esco di rado, e quando esco mi pento amaramente di averlo fatto. Mi piace osservare gli altri, ne ho bisogno per scrivere. Ma come si descrive il niente? Perché è questo che vedo quando esco. Facce che comunicano niente. Una moltitudine di persone dipinta di colori falsi, maschere a nascondere il vero volto.
Una ragazza balla eccitata saltando sul posto al suono di una musica che non si presta a tale ballo. Il suo accompagnatore la copia, ma dentro è imbarazzato e pensa:«Guarda che mi tocca fare per rimediare una scopata».
Registi e attori sconosciuti che si autodefiniscono grandi. Che poi Roma è famosa per questo, è quasi un virus. ‘A Roma so tutti fenomeni’ qualcuno ha detto, a ragion veduta.
E’ così difficile essere se stessi? Uscire senza veli? Mostrare un pizzico di umiltà?
Quei pochi che lo fanno brillano di luce propria come soli, in mezzo a una scura nauseante melma. E soli restano, come me ora in questa stanza buia.
Sono stanco.
Il mio viso cade a pezzi sotto i colpi di bisturi e punture. Li raccolgo e cerco inutilmente di ricomporre il puzzle. Allo specchio non mi riconosco. Estraneo a me stesso. Ho così tante cicatrici, che sono pronto per un eventuale film sui pirati. Non ho bisogno di trucco vado bene così, nature.
Ho freddo. L’inverno mi sta già penetrando nelle ossa, ancor prima che arrivi. Sono completamente coperto dal piumino, esce solo il braccio per scrivere.
Propongo una mozione di sfiducia al freddo, spostiamo l’Italia più a sud. Vicino all’equatore. Con tutte le cazzate che sento, una in più non fa niente...
Abbasso il periscopio e m’immergo nel piumino. Che ci faccio qui?
Buonanotte.

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