sabato 4 ottobre 2008

Roma, 3 Ottobre 2008

La terra fangosa del campo si attacca agli scarpini come una colla. Si attacca ovunque. Salta e si spiaccica sui corpi sudati e confusamente intrecciati degli altri giocatori. L’odore pungente della vegetazione intorno al campo, si mescola con quello inconfondibile delle magliette originali appena lavate che ognuno sfoggia. Odore di partita di calcio.
Gioco in attacco. Segno spesso. Nonostante le sigarette e la vita sregolata, riesco ancora a correre e, in gergo, a buttarla dentro. Con la freddezza che dimostro di avere anche fuori dal campo. Una corazza a prova di sgretolamento.
C’è una vespa che da due giorni vive in camera mia. Una di quelle il cui corpo sembra diviso a metà, unito da un filo invisibile. Gira tutto il giorno intorno alla stanza. Un volo regolare, senza deviazioni improvvise, elegante. Sembra il prototipo di un mezzo del futuro. Una navetta con due cabine passeggeri. Deve aver trovato la nicchia ecologica che fa per lei. Di cosa si nutra non saprei dire, comunque instancabilmente gira. La notte, trova rifugio sotto la spondina che ricopre la ruota della carrozzina. Stasera è irrequieta. Non ne vuole sapere di ritirarsi nelle sue stanze. Il ronzio nel silenzio della notte, è assordante. Di giorno si confonde con i rumori quotidiani, ora sembra avere un amplificatore attaccato sotto un’ala.
All’improvviso, un colpo secco proveniente dal salotto mi gela il sangue. Mi concentro cercando di capire cosa succede, ma il rumore dell’insetto aumenta esponenzialmente. Come se la stanza agisse da cassa di risonanza.
«Fermati vespa, non sento niente,» inveisco a denti stretti e con un filo di voce. Ancora suoni sconosciuti: sento trascinare, rovistare, muovere. I cani, stranamente, non abbaiano. Avvelenati, storditi, uccisi. Penso a tutto un ventaglio di possibilità funeste. Ho paura. La freddezza di un tempo è svanita, lasciando il posto all’ansia e all’insicurezza. La corazza è piena di crepe. Di ferite sanguinolente perennemente aperte, dove incubi fanciulleschi trovano dimora e linfa vitale. Prendo il telefono per chiamare il 113: digito il numero ma non invio. Se mi sentono parlare, di sicuro me li ritrovo immediatamente in camera. Magari credono che a casa non ci sia nessuno. Aspetto.
Mi sembra di vivere la scena di un film, dove il regista non da mai lo stop.
La vespa, intanto, continua insolente il suo concerto in crescendo:«Smettila maledetta, se continui così ti sentono!».
Ci deve essere un modo per farla posare. Un suono particolare, un comando vocale, ultrasuoni. Se mi vola vicino posso provare a mangiarmela al volo. Così mi pizzica in gola e le urla le sentono in tutto il quartiere. I rumori estranei si fanno più vicini. Li sento nel corridoio. Sento passi leggeri avvicinarsi alla porta della mia stanza. Prendo il telefono. Il panico ha aumentato gli spasmi. Non riesco a posizionarlo per inviare la chiamata di soccorso. Sento la porta scorrevole scivolare lentamente dentro il muro. Tremo. Il telefono mi cade sul letto e rimbalza dove non posso raggiungerlo.
E’ finita.
«Tutto bene signore, ho sveliato?».
«Chi è??!».
«Micchela signore, lampadina stanza rotta cercavvo nova caduto cassetto».
La governante nuova. Lavora qui da due giorni, la paura l’aveva temporaneamente cancellata dalla mia memoria.
«Non ti preoccupare, ero sveglio». Appeso a una parete con i capelli dritti, ma sveglio.
«Devo aiutare per fare pipì?».
«Non ancora, ti chiamo più tardi».
La vespa si è ritirata nel suo loculo e con lei il suo ronzio fuori ordinanza. Forse la frequenza e l’accento della voce di Michela l’hanno spaventata. Anche lei è tornata nel suo loculo.
Ora c’è silenzio. Niente finti ladri né rumorosi insetti. Solo silenzio, che a volte è ancora più assordante e spaventoso.

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