martedì 20 aprile 2010

Sono sul volo di ritorno da New York. L’assistenza aeroportuale americana ha confermato il suo scarso livello di preparazione. Arrivato davanti all’ingresso dell’aereo mi hanno trasferito sulla mini sedia prendendomi in modo sbagliato. Vederli armeggiare con le cinture di sicurezza senza avere la minima idea del loro funzionamento, è come vedere un bambino davanti a una formula di fisica quantistica. Alla fine le annodano tipo corda. L’ingresso è disastroso: prima rischiano di farmi cadere perché le cinture chiaramente non reggono; poi si accostano troppo al portellone dell’aereo e mi scartavetrano un braccio contro il ferro. Mi domando se riuscirò ad arrivare al posto ancora vivo.
Gli ultimi giorni a New York sono stati belli ma freddi. Tanto che la sera siamo rimasti a casa e ci siamo cucinati un paio di cene. Ero quasi contento di tornare se non fosse stato per l’ultimo giorno, che mi ha fatto tornare la voglia di vivere nella grande mela. Ho incontrato la mia amica Costanza che ci vive da quattro anni. E’ venuta a prendermi e mi ha portato a visitare il suo quartiere: ‘Dumbo’. Ovvero downtown Brooklyn subito al di la del Manhattan bridge. Ho avuto il piacere e l’onore di vedere il suo bellissimo studio e la sua accoglientissima casa. Costanza è un’ottima cantante, musicista, produttrice e anche ingegnere del suono. Oltre che essere una persona speciale. Siamo andati sul fiume a goderci la vista di NY al tramonto e siamo passati sotto al ponte dove il nostro caro Sergio Leone ha girato ‘C’era una volta in America’. Nel ’92, quando vivevo in città, qui non c’era anima viva in giro. Era pericoloso. Le case costavano pochissimo. Ora è tutto tranquillo e rinnovato, e i prezzi naturalmente sono lievitati.
Alle nove una macchina ci ha prelevato davanti allo studio di Costanza per portarci al party di una premiere di un film per la televisione prodotto da HBO (famoso canale americano). Susan, protagonista del film insiema ad Al Pacino e John Goodman, mi aveva invitato anche allo screening del film che purtroppo si svolgeva in un ‘landmark building’, antico edificio costruito all’insegna delle barriere architettoniche. Il party si teneva al ‘Four Season Restaurant’, luogo super chic, dove la felpa verde acido della nazionale messicana di calcio portata da Miky faceva il suo sporco effetto. Due tavoli con buffet assortiti (dagli gnocchetti al ragù al sushi) alle estremità di una grandissima sala caratterizzata da un immenso lampadario a forma di ragnatela. Tavoli addobbati con orchidee viola meravigliose e una serie di camerieri che giravano offrendo vino bianco e champagne. L’unica accortezza: non lasciare il bicchiere pieno a metà sul tavolo perché veniva considerato finito e portato via in un decimo di secondo. Voltavi lo sguardo e spariva, come per magia. Tra le tante persone conosciute durante la serata mi hanno presentato Josh, un ragazzo poco più piccolo di me dal viso simpatico. Parlando viene fuori che fa il musicista e il produttore. Ha solo fatto le musiche di due documentari: Man on wire e The Cove entrambi premi Oscar. Ha uno studio downtown poco lontano da casa ‘mia’. Mi invita subito. Purtroppo parto il giorno dopo e la mattina ho un miliardo di cose da fare. Non ce la posso fare. Lo ringrazio e rimando al mio prossimo viaggio. Di li a poco, dopo aver bevuto il giusto e anche qualcosa in più, ce ne siamo andati. La macchina con l’autista russo di poche parole è venuta a riprenderci per portarci a casa. Durante il tragitto capisco che ho una gran voglia di vederlo lo studio del tipo. Così , spinto anche dall’insistenza di Costanza (anche lei desiderosa di vederlo), abbiamo deciso di mandargli un sms: «Ciao Josh, ma per caso vai a studio dopo il party?».
Risposta quasi immediata: «Si tra poco, vuoi passare?».
Certo che voglio Josh. Chiaramente siamo arrivati in zona prima noi. Non è stato difficile perdere tempo e farsi un bel rum da Schinler. Finito di bere ci siamo diretti all’indirizzo dello studio. Ci viene a prendere fuori perché ci sono da fare due rampe di scale a salire. La vista dello studio è scioccante. Si tratta di un antico teatro vaudeville del diciannovesimo secolo perfettamente conservato. Enorme. Con una gradinata che scende fino al palco pieno di qualsiasi strumento, amplificatore vintage ti venga in mente. C’è addirittura un gong. Illuminato da lampadari appartenenti all’antica struttura. Un juke-box e un lungo tavolo con due sedie subito davanti al palco. Un pianoforte a coda con dentro il bar al posto delle corde. Da una parte c’è addirittura un letto a baldacchino. In cima alla gradinata c’è la regia: una stanza rettangolare piena di chitarre, con un rack pieno di strumenti e un tavolo con schermo 22’’ e un controller per protools. Alla destra del tavolo una serie di tastiere vintage una più bella dell’altra. Josh ci fa sentire il disco di Sizzla (un cantante jamaicano molto bravo) appena registrato e qualche pezzo (tutti scritti da lui sia testi che musica) che farà parte di una colonna sonora per un documentario sull’autismo. Performers: Crosby Stills and Nash, Anthony, Scarlett Johansson. E bravo Josh‼ Ci salutiamo con l’invito a venire anche tutti i giorni se ci va. Se vivevo a NY mio caro Josh ci rimanevo anche a dormire nel tuo studio. Un paradiso terrestre per chi ha voglia di fare musica e scrivere.
Arrivati sotto casa ci salutiamo tristemente anche con Costanza. Abbiamo passato una giornata splendida insieme e dispiace che sia stata l’ultima della vacanza.

Nel frattempo l’aereo è bello che arrivato. Volo perfetto. Non ho avuto motivo di avere paura. Ho solo maledetto i viaggiatori in prima classe. Dal mio scomodissimo posto potevo vedere la super comodità dei loro, la possibilità di stendersi, lo schermo quattro volte più grande e il cibo sicuramente più buono. Non trovo giusto che un disabile con le mie problematiche debba viaggiare con mille difficoltà. Il passaggio alla businness class dovrebbe essere automatico per una serie di patologie. La gente non si rende conto purtroppo.

Ora sono a casa. Sono stato alla mostra di Hopper e mi sono ubriacato in un ristorante giapponese. Sento già l’oppressione di questa città che ti fa passare la voglia di fare. Elimina qualsiasi ispirazione. Basta leggere un giornale o fare una passeggiata in centro per essere assaliti da un senso di disgusto. Ma che sono tornato a fare? Almeno il vulcano poteva darmi una mano. Si fosse incazzato qualche giorno prima, starei felicemente bloccato a New York. Unica soluzione: non uscire mai da casa. Scrivere, scrivere, scrivere. A presto.

domenica 11 aprile 2010

Sono andato a vedere il ''ping pong club'' di Susan, la mamma di mia nipote Eva. Il posto si chiama ''Spin''. Si trova sulla ventitresima strada tra Madison e Park Ave. Lo spazio è fantastico, si scende sottoterra e si entra im un mega stanzone con undici tavoli: dieci messi in fila in due gruppi di quattro e uno di tre, più l'ultimo ''centrale'' davanti a un lungo bancone bar e circondato da piccole gradinate di metallo. Quello dove si tengono i main events durante la settimana. In più c'è anche un ristorante con alcuni tavoli di fianco al bar. Arredato con gusto, luci soffuse intorno ai tavoli ben illuminati, schermi appesi ai muri. Cameriere attraenti che vengono a prendere l'ordinazione. L'evento della serata era il ''Dirty Dozen''. Un torneo settimanale che si svolge ogni venerdì tra i dodici più forti giocatori del club. Premio finale da 500 dollari. L'accoglienza è stata fantastica. Il manager del club ci ha scortato vicino al tavolo centrale e ci ha offerto da bere. Dopo pochi minuti si è presentato uno dei proprietari soci di Susan, un trent'enne di bell'aspetto di cui non ricordo il nome. E' rimasto a chiacchierare a lungo, e si è raccomandato di ordinare qualsiasi cosa volessimo. Dopo una mezz'ora è arrivata Susan. Siamo stati insieme tutta la sera, ammirando i bravissimi giocatori in partite mozzafiato accompagnati da due mc's che ne decantavano le gesta. Tra una partita e l'altra balletti di breakdance (un po' scarsi a dire il vero) e gare di abilità nello scolarsi boccali di birra a tutta velocità. Very american style. Agghiacciante per un europeo con un minimo di cultura. Molti giovani e ricambio un po' più adulto da una certa ora in poi. Tutti i tavoli costantemente pieni e moltissima gente al bar e al ristorante. Insomma serata perfettamente riuscita. Susan mi ha presentato tantissime persone, è stata molto carina. Credo ci sia il suo zampino anche nell'approccio ''out of the blue'' di una prorompente ventiquattrenne dell'Oklahoma, addetta all'ingresso del locale, sufficientemente ubriaca da parlarmi per un'oretta in spagnolo, pretendere il mio numero di telefono e rammaricarsi per il fatto che non vivo a NY. Che chiedere di più a una serata?

Il giorno dopo ho avuto l'immenso piacere di vedere mia nipote Eva, che non incontravo da sei anni. Ci siamo dati appuntamento in mezzo a Union Square. Si è presentata col suo nuovo ragazzo, molto carino e simpatico, ex giocatore dei Galaxy di Los Angeles che ci ha lasciato quasi subito per andarsi a vedere Barcellona-Real Madrid (giustamente direi). E' stato molto emozionante, abbiamo parlato per un'ora e mezza di qualsiasi cosa, tra grandi risate. Ci siamo accorti di pensarla allo stesso modo su parecchie cose. L'ho trovata in splendida forma, felice e ci siamo dati appuntamento a Roma per l'inizio dell'estate. Anche perchè per una che vive a Los Angele e uno che vive a Roma, incontrarsi a New York è veramente strano o perfettamente sano, non saprei scegliere. Ci siamo entrambi rammaricati di non poter passare più tempo insieme, lei doveva rientrare subito a L.A. per lavoro. Non ho problemi nel dire che è stata la più bella cosa che è successa a NY fin'ora.

Domenica mattina alle 9 ero schierato insieme a una ventina di romanisti al ristorante ''La Sora Lella'' a vedere la partita della Roma. Clima un po' freddo all'inizio, della serie: chi è questo? Porterà male? Dopo il secondo gol ero già uno di loro. Alla fine baci e abbracci e tutti felici per questa grande Roma prima in classifica. Quasi mi toccherebbe rimanere fino alla fine del campionato (se qualcuno sponsorizza io rimango eh...).
Subito dopo sono andato a prendere un'incazzatissima Sabina, reduce dalla sua mostra di gioielli andata male, per recarci al Metropolitan Museum. Qui mi tocca aprire una polemica sulla scarsa accessibilità di NY, che è qualcosa che uno non si aspetta. La metropolitana non è accessibile. Solo pochissime stazioni hanno gli ascensori. E questo ha limitato non poco la mia mobilità in città. I taxi per disabili praticamente non esistono. Ne ho intravisti due, chiaramente occupati, in cinque giorni. Puoi richiedere un furgoncino attrezzato ma è molto costoso. Gli autobus sono tutti accessibili, ma per arrivare al museo ci è voluta un'ora e due dollari e mezzo di biglietto. Per di più hanno un sistema di sicurezza molto scarso. Per non parlare dei marciapiedi disastrati e dell'accessibilità ai negozi anch'essa molto scarsa.
Il Metropolitan è uno dei musei più belli del mondo. Ci vogliono almeno tre giorni per visitarlo nella sua interezza per non fare overload di informazioni. Cosa che immancabilmente abbiamo fatto uscendo col cervello in ebollizione. Tre ore al cospetto di opere e manufatti di qualsiasi genere e provenienza epocale. Uno dei ''must see'' di NY. Notate bene, il biglietto costa venti dollari ma se si dichiara di voler entrare con una semplice donazione anche di due dollari, si può. Solo che non c'è scritto da nessuna parte. O lo sai o paghi il biglietto. Risultato: sessanta dollari pagati.

Non faccio che pensare al ''povero cristo'' della mostra al New Museum. Oggi camminando su Houston st. l'ho anche intravisto. Forse aveva finito il turno. Aveva un non so che di trascendentale, per fortuna camminava sul cemento e non sull'acqua. Se lo incontro di nuovo lo fermo.

venerdì 9 aprile 2010

Et voilà! Arrivato a New York City. Il viaggio è stato tranquillo. La Delta offre il peggior pasto che mi è capitato di mangiare su un volo. Un pollo di marmo, accompagnato da un pugnetto di riso scotto all'ennesima potenza, dei cavoli bonsai, un parallelepipedo di ceddar cheese anch'esso marmoreo e un simil tiramisù cammuffato da tiramisù. In compenso lo schermetto interattivo montato su ogni sedile offre una vasta scelta di film, spettacoli tv e videogame che mi hanno distratto dal pensiero di essere a diecimila metri da terra. Solo il movimentatissimo atterraggio, causa forte vento, mi ha riportato alla mente pensieri di morte imminente. Devo spezzare una lancia a favore dell'assistenza aeroportuale italiana. Carini, preparati, efficenti. Una ragazza mi ha scarrozzato dal check in al gate del volo, accompagnandomi perfino a fare acquisti al duty free. Altre due mi hanno trasferito sulla sedia da aereo (finalmente munita di cuscinetto) e mi hanno posizionato sul sedile con grande professionalità. Al contrario della controparte americana. Atterrato al JFK di New York, sono arrivate due tipe che non avevano la forza di sollevarmi. Se non ci fosse stato Miky starei ancora seduto in aereo. Per non parlare dell'incapacità totale a posizionare le cinture della mini sedia a rotelle, anche qui l'aiuto di Miky è stato fondamentale. E non è tutto. Passati i super controlli di ammissione con tanto di foto segnaletica e impronte digitali (ne hanno dovuto fare a meno nel mio caso), abbiamo aspettato due ore che arrivassero i bagagli. Pensavo fosse l'Italia il paese più lento a riconsegnarli. All'uscita la macchina che avevo prenotato se n'era chiaramente andata. Ho chiamato la ditta che me l'ha prontamente rimandata (con aumento della tariffa). L'autista indiano ha sparato lo stereo a cannone con il meglio delle pop hits orientali e, sbattendo le mani sul volante a tempo di musica, si è lanciato sulla strada neanche fosse rincorso dalla polizia. Fortuna che il mio assistente Nilushe mi ha abituato al tipo di guida orientale, quindi il tragitto è stato anche divertente. Meno per Miky che è stato sul punto di vomitare per tutta la durata della corsa.

Il loft dove ho affittato una stanza è bellissimo. Al settimo piano con l'ascensore che si apre direttamente all'interno della casa. Ha un enorme salone con cucina annessa, tre stanze da letto e due bagni, parquet ovunque, divani a profusione e un 42'' Samsung invidiabile. Arredato con discreto gusto direi. Pieno di orchidee e soprattutto un blocco distante da dove abitavo nel '92.

Il primo impatto con la città è stato scioccante. Niente di ciò che conoscevo esiste più. Il caffè dove facevo colazione è diventato un ristorante, uno dei locali che frequentavo di più un negozio di vestiti. Il mio quartiere un tempo completamente spoglio, è pieno di negozi, ristorantini, bar e chi più ne ha più ne metta. Anche il lower east side, che era quasi infrequentabile, si è trasformato in zona commerciale. Da un lato è meglio: si può girare tranquilli senza stare in costante tensione che qualcuno ti derubi pistola in pugno. Dall'altro è andato perduto il fascino dark di questa città, manca il ''lato oscuro della forza''. Non c'è equilibrio. Ma è un discorso lungo.

Ho avuto il grande piacere di incontrare, dopo vent'anni, un grande amico con cui ho fatto il servizio militare. Vive e lavora qui da quindici anni. La cosa fantastica è che mi sembra di non averlo mai perso, dopo esserci raccontati a grandi linee quello che avevamo combinato è stato come se il tempo non fosse passato. Credo che questo succeda solo tra amici veri.

Stamattina sono andato al New Museum of Modern Art a vedere una mostra di una collezione di un filantropo greco, curata da Jeff Coons. Tra le tante cose orribili e sessualmente deviate, c'era un installazione umana. Una croce con un Gesù Cristo in carne ed ossa con tanto di corona di spine ''crocifisso'' con cinghie e maniglie a cui tremolante si aggrappava. Con vicino una scala per scendere di tanto in tanto a riprendere fiato. E' proprio il caso di dire: ''povero cristo''. Ma quando uno acquista un'opera del genere, si porta a casa anche l'essere umano? E chi lo nutre?

lunedì 5 aprile 2010

In procinto di...

Tra due giorni ho l'aereo per New York. Stamattina ho portato i cani a scuola di obbedienza, come faccio regolarmente due volte a settimana, e li ho anche mollati la. Preferisco lasciarli in pensione alla scuola, così stanno in compagnia canina e continuano il lavoro con l'istruttore. Il problema è che io non sono affatto abituato a stare senza i miei adorati cani. Sono passate due ore e già mi mancano. Fin'ora il pensiero del viaggio era alquanto astratto. Adesso che guardo fuori in giardino e non vedo i quadrupedi rosci, ho la certezza che sto effettivamente partendo.

Da quando sono disabile ho cambiato modo di fare la valigia. O meglio, il modo è lo stesso sono cambiate le cose da metterci dentro. I vestiti rappresentano la percentuale minore dello spazio occupabile. Il grosso è intasato da: cateteri, buste per l'urina, guanti, traversine, medicine, creme e olii idratanti, pinzette usa e getta, garze, cerotti. Per non parlare del materasso tempur antidecubito e della sedia da viaggio per la doccia (e la cacca). Questi ultimi due elementi ''per fortuna'' viaggiano soli, sono anche loro valigie. Altrimenti avrei bisogno di un container. L'unico vantaggio è che molti oggetti vengono usati e buttati nel corso della vacanza, liberando lo spazio per le new entries dello shopping in loco (tiè inglese-latino-italiano in mezza riga).

Sono circa due anni che non prendo l'aereo. L'ultima volta, come avevo riportato sul blog, l'assistenza a Fiumicino è stata pessima. Non vedo l'ora di testare i progressi che sicuramente in due anni ci saranno stati. Anche se nutro seri dubbi in merito. Ciò che non è sicuramente cambiato di una virgola è il mio terrore di volare. Sto valutando quali e quanti tipi di tranquillanti portarmi a bordo. Sto anche valutando la somministrazione di una pre-anestesia di quelle che ti danno in ospedale prima di entrare in sala operatoria. Ho trovato, nascosto tra le tante medicine che ho in casa (tutti hanno un armadietto, io ho un armadio a due ante scorrevoli), un addormentatore che tempo fa mi aveva rifilato il mio psicologo. E' così forte che potrebbe bastarmi anche per il ritorno. Nel qual caso la vacanza si trasformerebbe in una terapia del sonno. Ho già pronto il titolo del resoconto:«In viaggio con l'addormentatore».
Se non dovesse funzionare ho materiale per distrarmi: due episodi di due differenti serie tv, sei film, quattro libri e dodici giga di musica. E poi ci sono sempre le fantastiche bottigliette di alcohol da aereo. L'ultima spiaggia. Se vi viene in mente qualche altra soluzione scrivetemi pure, accetto consigli.

venerdì 2 aprile 2010

Un altro Sabato dai Fooders

Sabato scorso sono stato alla seconda serata musico-gastronomica organizzata dai Fooders nel loro splendido loft a S. Lorenzo. La bellissima cornice, già da me raccontata in un precedente post, ha mantenuto la sua magia. Stavolta il trio jazz dell'ottimo chitarrista Cristiano Mastroianni, ha caratterizzato una serata più tranquilla della precedente ma altrettanto memorabile. Il cibo è stato il vero protagonista dell'evento (e come te sbagli!), sempre legato al sud degli Stati Uniti d'America. Un fantastico antipasto con caponatina e direi sublime torta di granchio, uno di quei piatti che dovrebbero far parte del quotidiano nella vita di un uomo:«Che ci mangiamo oggi?»
«Ma facciamoci una bella torta di granchio!»
Per poi passare al clou della cena, il Gumbo, uno stufato con crostacei di fiume e riso da leccarsi i baffi e la barba. Di secondo un'insalata di patate e delle salsicce speziatissime super saporite. Il tutto accompagnato da un ottimo corn bread. Per finire un lemon cheese cake che non ho mangiato (troppo pieno) ma che a detta di tutti era fantastico. Ora attendo con ansia il 17 Aprile la cena giapponese. Tornerò da New York il 16 e verrò alla cena avvolto nel kimono del cambio di fuso, che sarà ancora più aggravato dalla sbronza di rito che mi prenderò in aereo. Sapete, mi piace tanto volare...