domenica 23 settembre 2012

Un'estate anomala (Prima parte)

Avete già letto il post ‘Giustizia italiana’, inutile quindi soffermarmi ancora sul mercenario srilankese (o cingalese, non ho mai capito). Voglio invece raccontarvi quello che è successo dopo essermi felicemente liberato di lui. Non fatevi ingannare dalle mie parole, non è stato il preludio di un’estate all’insegna della spensieratezza, bensì l’esatto contrario: un flusso costante di problemi che neanche il rito voodoo più perverso sarebbe stato in grado di creare.
Mentre avviene il fattaccio col mercenario (cambio tempo per farvi vivere più direttamente la tragica escalation), contatto un’agenzia che fornisce personale secondo i requisiti richiesti. Parlo con il titolare che, dopo aver ascoltato le mie esigenze, mi risponde raggiante:
«Ho proprio la persona che fa per lei!»
«Mi dica»
«Filippino, trentadue anni. Da ventisette in Italia, praticamente parla con accento romanesco. Sa fare tutto e ha esperienza nel campo dell’assistenza, anzi è proprio il tipo di lavoro che cerca. Glielo mando per un’intervista?»
«Certo!»
«Si chiama Ramon e questo è il suo numero, lo chiami e si metta d’accordo direttamente con lui»
«Grazie».
Incredibile, penso, bingo al primo tentativo. Non mi è mai successo, quindi nutro ancora qualche perplessità, ma allo stesso tempo sono fiducioso. Tempismo perfetto: cacciato un mentecatto, arriva il superman degli assistenti. In effetti, dopo l’intervista, sono io quello raggiante. Ramon è davvero superman: un ragazzone dalla possente stazza, ha molta esperienza e ottime referenze. E’ sveglio (forse anche troppo), e lo dimostra subito lamentandosi per la sporcizia della casa. Oltretutto è un ex kickboxer, quindi all’occorrenza anche guardia del corpo, che non guasta. Lo prendo in prova. Per i seguenti diciotto giorni mi sembra di aver raggiunto il Nirvana: impara tutto subito, la casa non è mai stata così pulita, cucina e guida benissimo, spesso anticipa i miei pensieri. Posso finalmente delegare senza ritrovarmi davanti a disastri inaspettati. Praticamente perfetto. E’ un po’ sopra le righe dal punto di vista degli approcci: sciorina soprannomi e storpiature dopo averti conosciuto da un minuto, e tende a farsi sentire se qualcosa non funziona, ma va bene così. D’un tratto, tutto ciò che ho passato con il mercenario sembra avere senso: c’era super Ramon ad aspettarmi. Mi faccio preparare il contratto dal mio commercialista, e finito il periodo di prova, lo firma. E’ fatta, mi dico, per i prossimi anni sono in una botte di ferro. Il giorno dopo aver firmato, mi comunica che ha trovato un lavoro dove lo pagano molto meglio e può dormire a casa. Avendo moglie e figlio, non può perdere l’occasione. Gli dispiace molto e mi promette che aspetterà finché non avrò trovato un degno sostituto. Mi cade il mondo addosso. Cerco di farmene una ragione pensando ai suoi difetti (pochi) e concentrandomi sul fatalismo: vuol dire che doveva andare così, ne arriverà uno ancora più bravo, anche se ci credo poco. A distanza di un giorno mi danno il numero di Arlyn, una filippina molto fidata che sicuramente sarà in grado di trovarmi qualcuno. La chiamo e le espongo i miei bisogni. Non mi lascia finire la spiegazione, e sbotta entusiasta:
«Mio marito!»
«...»
«Signore la prego, smetta di cercare. Mio marito è perfetto e cerca disperatamente lavoro. Veniamo subito a trovarla»
«Va bene domani?»
«Certo signore. Mio Dio, è come vincer«e la lotteria! Grazie, a domani!».
Si presentano insieme al figlio e a un suo amichetto, figlio della sua datrice di lavoro. Il candidato alla vincita della lotteria si chiama Jimmy: tarchiato ma robusto, con un baffetto anni ’70. Parla un italiano stentato e quasi sottovoce. Sembra molto meno entusiasta della moglie. Gli spiego che dovrà iniziare subito per imparare velocemente, perché è venerdì e ho intenzione di partire il martedì successivo. E’ molto meno espansivo di Ramon, e questo è un bene. Mi chiede se, quando usciamo in macchina, si deve mettere in giacca e cravatta. Ho la tentazione di dire sì, sarebbe una scena meravigliosa: un fricchettone tatuato, scortato da un impeccabile assistente in completo nero. Gli chiedo solo di impegnarsi perché il tempo è poco, e ci sono tante cose da capire.
Passa tutto il sabato a lezione da Ramon, e rimane anche la notte. Sembra sveglio e capace (il soprannome, inutile che ve lo dica, viene da se: Jimmy il Fenomeno). Ci diamo poi appuntamento per la mattina di lunedì, per iniziare ufficialmente il lavoro e preparare le valigie per l’imminente partenza.
Ovviamente non si presenta. Lo chiamo e mi sciorina una serie di problemi surreali che faccio fatica a capire:
«Signore sono in un ufficio, mi hanno sequestrato il furgone dei fiori»
«...»
«E poi mi stanno cacciando di casa perché non pago affitto»
«...»
«E devo fare nuovi documenti per me»
(Ho reso la conversazione comprensibile focalizzando le frasi importanti, in realtà era condita da ragionamenti privi di senso).
«Scusa ma non riesco a capire, tutti questi problemi li avevi già, perché hai accettato il lavoro?»
«Pensavo di risolvere oggi»
«Non mi sembrano problemi di facile risoluzione»
«Lo so, infatti i miei problemi sono molto più gravi del suo».
Quest’ultima frase mi lascia davvero senza parole. Mi libero del telefono quasi fosse incandescente, e lo passo a Ramon:
«Parlaci tu con questo».
Ramon ci scambia qualche battuta in lingua madre e attacca. Inizia a bestemmiare (in italiano) e maledice il povero squilibrato.
La situazione ora è pessima: Ramon deve andare via, e io non so dove sbattere la testa per trovare una nuova persona, e per di più è saltata la vacanza. Il risultato è che per quattro giorni rimango da solo, con l’aiuto di mia sorella Valentina e di Alessia: una mia cara amica che sto ospitando per l’estate. Gestirmi non è cosa semplice, dalla pipì alla sistemazione in carrozzina e a letto nelle giusta maniera, fino alla vestizione e svestizione. Più altre pratiche che, normalmente, sono per me routine, ma che fatte da ‘novizi’ risultano più difficili del previsto. E mettiamoci anche il mio disagio quando sono costretto a farmi aiutare da amici e affetti. Insomma, un disastro. Per di più, da un giorno all’altro, lo schienale della mia sedia a rotelle decide che è arrivato il momento di morire. Non prima, però, di avermi creato dei problemi. Torno a letto e mi ritrovo graffi sulla schiena e punti ampiamente arrossati. La cosa non mi preoccupa molto, magari Ramon mi ha graffiato mettendomi seduto e mia sorella mi ha posizionato male. Mi sembra impossibile che sia lo schienale, così dal nulla. Il giorno dopo mi siedo qualche ora e torno a letto per controllare. Ci sono nuovi graffi e gli arrossamenti sono peggiorati. Non posso assolutamente stare seduto. Chiamo in ospedale: la mia ergoterapista sta andando in ferie e mi dice che comunque non può vedermi se prima non parlo con la dottoressa. C’è una nuova circolare che le impedisce di avere pazienti esterni non ufficiali. Chiamo la dottoressa che mi da appuntamento al lunedì successivo per capire la situazione.
Intanto cerco, tramite amicizie, agenzie, caritas e qualunque canale mi venga in mente, un nuovo assistente. La caritas prende i miei dati e le informazioni su cosa mi serve. Mi risponde una signora che, dal suono della voce, sembrerebbe anziana; neanche sente molto bene e, di conseguenza, urla. A dirla tutta sembra anche contrariata e infastidita dalla telefonata, forse l’ho svegliata durante il riposino. Comunque non riceverò chiamate dalla caritas. Le agenzie sono chiuse fino ai primi di Settembre. Tramite amicizie condominiali e non, ricevo i alcuni candidati. Il primo è africano e ispira fiducia come una tigre affamata, mi faccio lasciare il numero anche se so già che non lo chiamerò. Dopo qualche ora si presenta un signore: Augusto, boliviano. E’ basso ma dice che non ha problemi a sollevare persone pesanti. Restiamo a parlare per un’ora e mi lascia il suo numero e delle referenze per informarmi sul suo operato. Chiamo il numero del suo vecchio datore di lavoro. Mi risponde una signora che mi racconta, in termini entusiastici, che Augusto si è occupato del padre emiplegico per cinque anni in modo impeccabile. Aggiunge che è una persona molto affidabile e precisa. Lo richiamo per confermargli il mio interessamento, e qui arriva la solita frase che non ti aspetti (vi rammento che gli ho spiegato per un’ora il tipo di lavoro):
«Scusi, ma lei può camminare?».
〚La risposta che vorrei dare è questa:
«Che c’entra certo che posso, ma sono ricco e non mi va».〛
Resto un secondo in silenzio:
«Ma abbiamo parlato per un’ora, no che non posso»
«E fino a quando ha bisogno di assistenza?»
«Almeno fino a Settembre, ma le ho già detto anche questo»
«Allora va bene, vengo domani mattina»
«Va bene, a domani».
In realtà non va bene per niente, sono già preoccupato, ma per ora non ho scelta. Domani ho altri due appuntamenti, intanto mi copro. Ho imparato la lezione.