La settimana passa velocemente. Uso la carrozzina per spostarmi tra i vari materassini gonfiabili che ho fatto sistemare in giro per non rimanere chiuso in camera: uno in salotto davanti alla tv e un altro in piscina. L’umpa continua a farsi aiutare dai miei amici. Ho un assistente assistito. Le rare volte in cui si lancia di sua iniziativa a fare qualcosa senza supervisione, combina disastri. Siamo tutti impegnati a controllare che non prenda iniziative e che faccia bene le pochissime cose che gli si chiedono di fare. Forse dovrei stipendiare i miei amici per lo stress da assistenza all’assistente. L’unica nota positiva sono i continui e lunghi bagni in piscina che, oltre a contrastare il caldo torrido d’agosto, sono un ottimo diversivo dalla noia del dover stare steso sui materassi. Il lunedì, come d’accordo, vado al CTO di Ostia dove mi montano uno schienale provvisorio. Scomodo ma almeno posso stare seduto senza correre alcun rischio, in attesa che arrivi l’agognata carrozzina nuova (mi tocca anche agognare per una sedia a rotelle). Mentre si avvicina l’ultimo giorno di lavoro dell’umpa (che sarà una gioia pari alla liberazione dell’Italia dai fascisti), di punto in bianco, si presenta Ramon: non è contento del nuovo impiego e vorrebbe tornare a lavorare per me. Contengo la gioia per evitare eventuali richieste di aumento salario, e mi metto d’accordo sul giorno in cui riprenderà servizio: il cinque di settembre. Non mi sembra vero, dall’inferno del demone umpa sto per risalire nel paradiso del santo Ramon. E infatti non è vero. Inizio a chiamarlo cinque giorni prima di rimanere solo, gli invio una decina di sms, e a due giorni dal congedo del demone non ho ancora ricevuto risposta. Preso dal panico, ricomincio a chiamare le varie agenzie che avevo già contattato senza successo. Sono tutte ancora chiuse tranne una, che mi assicura di avere la persona adatta per il tipo di lavoro. Lo incontro il giorno seguente: si chiama Eric, è filippino e parla inglese. Lo metto subito alla prova e sembra sveglio, e comunque non ho alternative quindi lo prendo. Il giorno seguente arriva l’agognato (questo sì, molto) addio dell’umpa, che prima di andarsene pretende una foto con tutti, anche con il suo sostituto. Evidentemente non gli è mai capitato di guadagnare soldi senza far niente, e vuole una documentazione dettagliata di luoghi e persone che glielo hanno permesso. E’ probabile che diventerà una storia da raccontare ai nipoti, un’esperienza da tramandare come sacro insegnamento: «Se mai vi capitasse una situazione del genere, miei adorati nipoti, non lasciatevela sfuggire!»
Eric impara velocemente. Mia madre gli fa un corso di cucina intensivo al quale, non solo sopravvive (il che porrebbe già a suo favore), ma che mette in pratica con ottimi risultati. L’unico neo, e non di poco conto, riguarda la guida. Nel colloquio aveva dato idea di saper guidare, nelle Filippine guidava un furgone per lavoro, in pratica è pericoloso come un neo patentato e non conosce le strade. Appoggia le mani sul volante in modo innaturale e non tiene gran conto della linea divisoria delle carreggiate. Mi chiedo se nelle Filippine siano tutti sensi unici. Cerco di fargli capire che mi piacerebbe molto evitare un frontale e che è importante tenere la destra, almeno qui da noi si usa così. Per il resto non posso lamentarmi, e mi sembra una persona buona e disponibile. Finalmente sono in grado di programmare un viaggio. Decido di andare a Ibiza. Il mio caro amico Andrea che vive lì da anni, ha una piccola casa a trenta metri da una delle più belle spiagge dell’isola. Si offre di ospitarmi e io accetto con entusiasmo. Voglio passare dieci giorni di totale relax senza spostarmi mai dalla vista del mare, se non per dormire. Conosco bene l’isola e quella parte in particolare che è la mia preferita. Mentre cerco rapidamente due biglietti d’aereo low cost, però, accade l’impensabile. Arriva Osvaldo, il mio fisioterapista, che esordisce così:
«Ho parlato di te con un ragazzo italiano che è molto interessato a farti da assistente».
Lo guardo a bocca aperta, metabolizzo le sue parole e parto con una serie di domande:
«Ma gli hai spiegato il tipo di lavoro? Gli hai detto che deve dormire sempre qui? Che deve aiutarmi nelle faccende più intime? Pulire, cucinare, guidare? Ha già esperienza nell’assistenza? Quanti anni ha? Possibile che un italiano voglia fare questo tipo di lavoro?»
«Gli ho detto tutto. Ha trentotto anni, poi vedi tu. Aspetta una tua chiamata, ti lascio il numero?»
«Certo! Lo chiamo subito».
L’unico assistente italiano che ho avuto in quindici anni è stato Miky, e con lui ho passato cinque anni fantastici. Siamo diventati grandi amici e tutt’ora è il mio jolly quando faccio viaggi intercontinentali. E’ un piacere viaggiare insieme a lui. Non posso farmi sfuggire l’occasione, sarebbe un evento ai limiti dell’incredibile. Lo chiamo e ci diamo appuntamento per il pomeriggio del giorno dopo...