mercoledì 13 marzo 2013

Un'estate anomala (quarta e ultima parte)

Si presenta puntuale. La prima domanda esce senza possibilità di controllo, ancor prima delle presentazioni rituali:
«Ma quanto sei alto?».
Per passare dalla porta della mia stanza ha dovuto abbassare leggermente il capo.
«Due metri e otto».
Si chiama Marco, ha capelli e barba rosso acceso e, ovviamente, lentiggini. Ha giocato a basket professionalmente (non ho dubbi) e porta il numero cinquantaquattro di scarpe. L’altra domanda che mi balena per un attimo nella testa, e che evito di porre vocalmente, è inutile che la scriva. Avrete già capito immagino. Non avete capito? Va bene allora ve la dico: se è alto due metri e otto, e porta cinquantaquattro di scarpe, la proporzione di quello che nasconde nei pantaloni dovrebbe essere notevole. Non che mi interessi particolarmente, ma come si fa a non pensarci!? E non fatemi il classico segno con pollice e indice sulle presunte dimensioni di chi è troppo alto, non è vero. Quello vale per i cultori dei muscoli, non per i giganti. Dopo questa parentesi ai limiti del cattivo gusto, torniamo a cose più serie. Il ragazzone mi racconta che ha già lavorato con una persona disabile e che ha gradito l’esperienza (chissà se anche il disabile ha gradito). Vorrebbe continuare a farlo. Gli spiego minuziosamente il tipo di lavoro (ormai è come se recitassi un testo teatrale) e iniziamo subito con la pratica. Ho già avvertito Eric del possibile avvicendamento, spiegandogli che è un’occasione molto rara e non posso lasciarmela sfuggire. Marco segue con attenzione le operazioni base: il trasferimento sul letto, la pipì. Poi inizio a mostrargli dove tengo il materiale medico, gli asciugamani e via dicendo. E’ venerdì, lui può iniziare fisso da lunedì. Io ho intenzione di partire per Ibiza martedì. Va bene, penso, la prova la faremo in vacanza. E’ italiano, sembra anche sveglio, non può andare male. E poi c’è tutto lunedì per provare. Per di più i miei amici di Ibiza sono abituati ad aiutarmi, ha tutto il supporto necessario. Passiamo il lunedì a preparare le valigie e organizzare il viaggio. Scopro due cose: gli piace mangiare e quindi cucina bene (molto positivo); è di chiacchera facile, con ragionamenti tendenti al banale (molto negativo), ma potrebbe essere tutto dettato dal fatto che si tratta del primo giorno di lavoro. L’emozione, la novità, il brivido della partenza. Arriviamo in aeroporto con grande anticipo e, grazie alla comprensione di un’addetta al check in, riusciamo a imbarcare tutte le valigie senza pagare sovrappesi (che indubbiamente c’erano). Il trasferimento dalla sedia a rotelle da aereo alla poltrona, nonostante l’aiuto degli addetti, è disastroso. La regola incomprensibile della compagnia low cost su cui viaggio, è che devo sedere nel posto finestrino, per non intralciare in caso di evacuazione (in che modo intralcerei rimane un mistero). Per farmi arrivare fino lì, mi appoggiano e tirano su tre volte. Il risultato è che mi ritrovo i pantaloni storti e calati a metà chiappa. I due operatori si dileguano alla velocità della luce e Marco, non ancora esperto nei movimenti da fare, riesce a tirare un pochino su i pantaloni ma non a raddrizzarli. Per fortuna il volo è breve, non succede niente se resto così. Mi rassegno. All’arrivo aspettiamo molto a lungo gli operatori spagnoli. Al ritiro bagagli non c’è più nessuno, e non c’è neanche il mio materasso antidecubito. I bagagli sì, il materasso no. Vado a parlare con la tipa che si occupa dei bagagli non pervenuti e scopro che l’oggetto è rimasto a Roma. Domani dovrebbe arrivare. Le faccio presente che è molto importante che lo recuperino al più presto, altrimenti rischio di farmi male (e loro rischiano una denuncia per danni). Una volta fuori dell’aeroporto il materasso è già un ricordo lontano: è una giornata bellissima, calda, con una luce meravigliosa, caratteristica di Ibiza. E sono felice di vedere Andrea, erano più di sei mesi che non ci incontravamo:
«Sticazzi del materasso, mo te porto in paradiso».
Lavora come dj in un ristorante su una delle spiagge più belle di Ibiza: Benirras (la foto del tramonto sul mio profilo fb l’ho fatta proprio lì).
Ha una piccola casa con due stanze e un bagno dietro al ristorante, a cinquanta metri dal mare. Conosco bene il luogo, è forse la spiaggia che amo di più in assoluto. Conto di restare in pantaloncini per tutta la durata della vacanza, senza muovermi mai oltre quei cinquanta metri. Ma non sono qui per raccontarvi l’andamento della vacanza, né per parlarvi della bellezza dell’isola, torniamo quindi al punto focale: l’assistente. Senza usare mezzi termini o giustificazioni, il gigante roscio risulta essere di gran lunga il peggior assistente avuto in sedici anni di disabilità. A volte mi ritrovo a rimpiangere perfino l’umpa (e ho detto tutto). Ha grosse difficoltà a farmi fare pipì: non riesce a stringere il catetere con le pinzette, lo fa sbattere ovunque, tanto che ogni volta ne devo usare due o tre (deve essere fatto in modo sterile, se tocca qualcosa prima di entrare va cambiato). Con il rischio di finirli prima del ritorno a Roma. Nessuno, prima di lui, ha mostrato difficoltà nel portare a termine questa facile operazione. Quando spinge la carrozzina, fatica come se stesse spingendo un trattore in panne (oltretutto mi fa il bagno con la pioggia del suo sudore: che schifo). Ogni volta che deve superare un gradino, gli devo spiegare come farlo altrimenti sbaglia e io rischio di ritrovarmi steso per terra. Dopo l’ennesima spiegazione gli faccio notare, con un leggero rimbrotto, che è impossibile che ancora non abbia capito. Mi risponde piccato:
«Guarda che ho lavorato con una signora in carrozzina per quattro mesi»
«E’ ancora viva?»
«...».
Per di più, spesso mentre cerca di portare a termine una delle operazioni che di solito non riesce a portare a termine, parla da solo ripetendo quello che dovrebbe fare, ma che poi non fa. Inizio a pensare che abbia qualche rotella non proprio funzionante, ma evito accuratamente qualsiasi commento in merito. Il quarto giorno di vacanza, dopo un pomeriggio passato tra bagno e letto per un ‘problemino’ intestinale, mi ritrovo con una sbucciatura all’osso sacro e una perdita di sangue dall’ano che dura tutto il resto della vacanza (deve aver operato lo svuotamento rettale con scarsa delicatezza: e che ti vuoi aspettare...). Da quel momento in poi non posso più fare il bagno a mare, rischio che la ferita peggiori. Resto con un piglio positivo perché non voglio farmi rovinare l’unica vacanza dell’estate, per fortuna ho accanto i miei amici e una schiera di cameriere (quelle del ristorante dove lavora Andrea) molto carine e dolci che mi coccolano tutto il tempo. L’ultimo giorno, dopo aver passato la nottata in un locale (abbiamo l’aereo alle 7 di mattina), arrivati in aeroporto non riesco più a contenermi. Di fronte alla persistente incapacità a infilare il catetere, mi esce fuori il mostro che con immensa difficoltà avevo tenuto a bada per tutta la durata della vacanza. Evito di riportare il monologo per decenza, ma credo che le mura del bagno abbiano tremato per qualche minuto. Sull’aereo non gli rivolgo parola. Una volta arrivati a casa convoco subito il buon Eric, che a questo punto nel mio immaginario ha assunto le sembianze del Santo assistente, e congedo – con grande gioia e soddisfazione - il gigante incapace (sperando di non rivederlo mai più). Purtroppo Eric può restare solo qualche giorno, deve andare nelle Filippine per un lutto famigliare. Mi rimetto subito alla ricerca del sesto assistente in due mesi (un record). La fortuna vuole che lo trovi subito: si chiama Gheorghe (Giorgio per gli amici) e a tutt’oggi è ancora il mio assistene. Su di lui potrei scrivere un libro. A tratti devo assisterlo io (è un po’ rincoglionito), ma almeno è una persona buona e disponibile. Attenti però al suo umorismo, quello inglese non è nulla a confronto. Ma questa è un’altra storia...