Parcheggio davanti alla chiesa di Piazza Euclide. Rimane un mistero il motivo per il quale non abbiano scelto la chiesetta di quartiere, dove, a mio avviso, ha passato il periodo più bello della sua breve vita (nel quartiere, non nella chiesetta). Ai piedi della lunga scalinata che porta all'ingresso della chiesa, mi sorprendo a sperare che il posto non sia accessibile. Ci sono persone che preferirei non incontrare. E' chiaramente accessibile. Una lunga e poco ripida pedana laterale conduce fino a una delle porte della chiesa, anch'essa perfettamente accessibile. Incontro gli amici di quartiere, questi sì che voglio incontrarli. Ci guardiamo e ci abbracciamo senza dire una parola. Bastano gli sguardi, basta un attimo e siamo di nuovo la piccola banda super affiatata di un tempo. Arriva la bara. Lo stomaco implode, entro. Mi avvicino alla famiglia senza guardarmi intorno, senza incrociare i molteplici sguardi che mi piovono addosso. Abbraccio la sorella e la stringo forte, più forte che posso:« L'abbiamo perso,» mi sussurra nell'orecchio piangendo. Continuo a stringerla. Non riesco a dire niente, ma quelle due parole sussurrate mi scioccano. Rimbalzano impazzite nel cervello. Cosa vuol dire "L'abbiamo perso"? Che non siamo (siete) stati capaci di aiutarlo? Che l'abbiamo (l'avete) lasciato correre verso il burrone? Bacio la mamma e mi sistemo di lato. Il prete inizia la messa. Per dieci lunghissimi minuti, sbaglia il nome del defunto. Lo chiama Alfredo: si chiama Maurizio. Qualcuno si alza e lo va a correggere. Il prelato ha il microfono davanti alla bocca:«Come?...Maurizio?...Ah scusate». Poco prima aveva dichiarato di conoscere bene la famiglia. Si avvicina il padre, che non vedo da una quindicina d'anni, e mi ringrazia di essere venuto. Non credo si renda conto ancora, forse non ci riuscirà mai. Quando eravamo 'pischelli' appena diplomati ci disse:«Se fate l'università avete ancora tempo da perdere, se no dovete lavorà ma lavorà tanto. Per fare esperienza. Se tu vuoi fare l'artista è un altro discorso». Io ho fatto l'artista; Maurizio non ha fatto l'università e non ha lavorato.
La cuginetta legge una breve lettera, parla di angeli e paradiso. E' giovane. Le parole semplici, innocenti e scontate che pronuncia almeno sono vere, sentite. Viene il turno di Rudy, un ragazzo del quartiere dirimpettaio di Maurizio. Recita (male) un breve monologo, esaltandone le doti e il fatto che per lui fosse stato, in quegli anni, un modello da seguire. Cosa che non era. Alla fine dell'intervento, sembra quasi che attenda l'applauso della platea. Per vivere fa il produttore cinematografico. Assomiglia terribilmente a De Laurentiis, cosa che gli farà certamente piacere. Finisce la messa.
Mi avvicino alla bara e leggo la piccola targa con il nome e le date di nascita e morte. Mi sento male. Esco dalla chiesa in lacrime. Siamo tutti provando un senso di rifiuto. Si, perchè non si può morire così, a casa come un cane. Il cuore non si può fermare a trentacinque anni. Non può, non deve.
Sbagliavi, quando ti portavi via il pallone nel pieno di una partita a calcio, di solito quando stavi vincendo, perchè "il pallone è mio e faccio come mi pare"; sbagliavi, quando hai iniziato a non uscire più, a chiuderti dentro la tua stanza, a dialogare esclusivamente con te stesso. Ma lo sbaglio più grande l'hai commesso due giorni fa. Hai sbagliato amico mio, sei andato via troppo presto. Hai portato via il pallone per l'ultima volta. Ciao Maurì.
3 commenti:
Ciao Mauri !
sono un'amica di Vane , è statalei a farmi scoprire il tuo blog , complimenti x la semplicità e la bellezza delle tue parole un bacio e spero di avere modo di conoscierti Maria Vittoria
daje lazio
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